A Fiaiano prove generali di riforestazione

Un ibrido tra bosco e parco urbano

Da via Fasolara nel comune di Ischia, dove sono nato ed abito tuttora, la pineta di Fiaiano era una presenza rassicurante della mia esistenza giovanile, come ed anche più di quelle più anziane della parte valliva di Ischia Porto, quelle per intenderci di paternità di Giovanni Gussone che le realizzò per conto dei Borboni all’incirca nella seconda metà del 1800.

La pineta di Fiaiano più visibile anche da lontano per essere ubicata verso monte. Ed anche più attrattiva per diversi motivi, tra cui andare a raccogliere nei suoi paraggi erbe ed arbusti per i conigli, andarci a giocare al pallone con torme di coetanei nello slargo vicino alla chiesa di S. Anna, ricercare funghi nei periodi più adatti, attraversarla a piedi per recarsi nell’abitato di Fiaiano e parimenti per recarsi, accorciando di molto il percorso, nei castagneti del Cretaio e delle balze del Trippodi per la raccolta autunnale di castagne.

Ma dalle finestre della mia casa, anche scrutare il cielo in lontananza, all’alba, per cogliere le avvisaglie di temporali in arrivo prima di avviarmi a scuola. Attraversare quel bosco fitto di pini aveva un fascino particolare perché risvegliava sentimenti di selvatica naturalità e di estraniazione temporanea della realtà quotidiana.

L’odore forte dello strame profondamente umido nei mesi autunnali e invernali degli aghi di pino, era mitigato dagli effluvi terpenici provenienti dalle chiome dei pini domestici e ancor più di quelli d’Aleppo più numerosi e scolpiti in modo bizzarro nella porzione sud della pineta, in un suolo caotico di sassi e rocce curiosamente erose, eredità pluricentenaria dell’ultima eruzione storica dell’isola di Ischia, quella dell’Arso del 1302.

Ed i muschi umidi di rugiada brinosa nell’avvicinarsi del Natale, nella loro raccolta premiata anche da apparizioni magiche, rare e perciò ancor più preziose ed emozionanti, di bianchi licheni frondosi e da qualche piccola felce od ancora da una miniatura di erica che tanto fantasticavo fosse un abete lillipuziano, tutto da portare a casa per farne il presepio più bello e invidiato del nostro villaggetto, quando Fondo Bosso altro non era.

Quasi un posto di frontiera, nei primi anni sessanta. In quelle escursioni realizzate con la velocità delle gambe forti e ben ferme della gioventù, albergava una magia sempre pensata e cercata con voluttà. La selvatichezza, oggi non più compresa pienamente dai più, si realizzava anche nell’istinto primordiale della caccia, ma il più delle volte realizzata in una fascinazione incompiuta, senza effetti predatori veri: una fionda fatta con forcine di frassino, con una pezza di pelle ricavata da scarpe non più abitabili ai piedi di nessuno, e un paio di elastici rossi da vecchie camere d’aria di biciclette.

Si andava nei boschi con quella debole arma senza pretese. Un gioco in un tempo avaro di giocattoli per i ragazzi poveri, i più, ed anche per quelli non poveri che amavano accompagnarsi con noialtri della prima categoria. Sentirsi forti così muniti, anche nei confronti di mitici nemici captati in rabberciati libri di avventure o nei primi fumetti di quegli anni, era già una ricompensa conquistata, e annullava il sentimento di insufficienza di un carniere sempre vuoto di prede.

Gli uccelletti del bosco li sentivamo più che vederli, e quando intercettati il cuore saltava in petto dall’emozione. Poi la rivalsa con il tiro a segno a tormentare file di vecchi barattoli di latta in un tiro a segno dove l’abilità con la fionda riceveva esiti più tangibili di bravura, e numerabili nella contesa accesa con i compagni di gioco. Tutto anche ai margini della pineta, od anche dentro di essa. In estate ed in primavera tarda soprattutto quando l’ombra era ricercata e apprezzata per uno stacco dall’imperio del sole.

Ecco, questa era la pineta di Fiaiano per me e per i miei coetanei. Quegli alberi, quei pini che numerosi è dir poco, di cui vedevamo solo i tronchi e la costellazione bassa di rami risecchiti dalla mancanza di luce, e le chiome del verde più scuro e luccicante che possa esserci che sapevamo esserci perché intraviste da fuori, dall’alto delle colline soprane, di lato nelle sparute radure, coperta o tappeto simil volante, ondeggiante tranquillo o impetuoso a misura di vento che lo attraversava ingentilito fin che il mutuo soccorso tra gli stessi alberi lo permettesse, quei pini carichi di pigne pregne di pinoli, erano preziosi per il poco di allora (istintivo, implicito, incosciente, presenza che basta da sola e non ha bisogno di riconoscimenti formali, ma pure reca benefici per corpo e anima, dagli occhi e da tutti gli altri organi recettori e percettori), che oggi è divenuto un molto che travalica il cospicuo. Un molto desiderato, ma anche depauperato, avvilito, mortificato, bisognevole di cure, di affetto di amore sincero.

Ecco, amici lettori, questa è la condensazione dei miei ricordi della pineta di Fiaiano che ho vissuto con pienezza e con gioia fin che la stessa ha potuto farmi dono di sé stessa, nel suo abito più bello. Poi la mortificazione degli attacchi di terribili parassiti esotici, la Marchalìna hellenica prima, e più recentemente la Toumeyella parvìcomis, accompagnate da un devastatore opportunista, un decimatore delle debolezze inferte da quelle cocciniglie vampire di linfa, mortificatrici di pletorica bellezza e vitalità vegetale: il coleottero conosciuto come blastofago delle conifere.

Questo insetto inferisce il colpo di grazia ai pini già aggrediti più e più volte dalle fameliche colonie di cocciniglie succhiatrici di vita. Pochi anni per distruggere una bellezza costruita dalla natura in anni di silenziosa prodigalità. Una tristezza infinita. Un senso di impotenza che porta alla desolazione inconsolabile.

Parlai una volta di “la pineta desolata” parafrasando il capolavoro di Thomas Stern Eliot, la Terra Desolata. Anche se l’accostamento può apparire azzardato, tuttavia non mi sento di rinnegarlo. Il movente è lo stesso. L’Europa devastata dal primo conflitto mondiale con migliaia di morti nel poemetto di Eliot, le pinete di Ischia devastate da nemici implacabili e con centinaia di pini morti: la terra che si riscopre denudata di figli, in ogni caso: uomini, animali, piante.

Ma si dice che la vita comunque andare avanti, conquistarsi altri spazi, costruirsi soprattutto nuove opportunità: averle nuove opportunità, o andare a cercarsele? O altri che cercano te perché le opportunità, le occasioni, si concretizzino in cose reali, fattibili, realizzabili.

La sfortuna di perdere qualcosa, compensata dalla possibilità di una riparazione, di una riconquista che pur non potendo ristorarti del tutto delle cose perdute, può rappresentare comunque per le generazioni nuove che sopravanzano qualcosa di paragonabile a quello che tu hai visto con i tuoi occhi e percepito con i tuoi sensi. Un racconto che si rinnovella e dona ai giovani quello che solo un ricordo di cose passate e perse, non può restituire in maniera completa e soddisfacente.

L’inserimento delle nuove piante è stato accuratamente studiato in base alle caratteristiche delle singole aree

Un agronomo che raccoglie la sfida, o forse una richiesta di dare un contributo? Per me entrambe le cose. La chiamata dal Comune di Barano, l’appello posso dire anche formale, del Sindaco in carica, Dionigi Gaudioso, di intercettare il bando del MITE, Ministero della Transizione Ecologica.

Un bando complicato ma anche molto serio, da interpretare al meglio possibile per farne un progetto credibile, plausibile, che ricevesse accoglienza piena presso la Commissione insediata in Città Metropolitana di Napoli per la prima scrematura delle candidature, e poi allo stesso MITE per la definitiva consacrazione e approvazione.

Da qui la nascita di un pool di tecnici interni al Comune, e con innesti importanti di tecnici esterni, alcuni di buona esperienza, altri di belle speranze, giovani, ragazze studiose e disciplinate. Un lavoro di squadra che in poco tempo deve mettere insieme tutto quello che serve per raggiungere un traguardo ambizioso, intercettare fondi per ridare nuova vita alla Pineta di Fiaiano.

Prima di ogni cosa la tensione comune, e poi il lavoro certosino, paziente ma anche veloce per quanto possibile. E l’uso buono delle moderne tecnologie, della comunicazione a distanza, in rete. Si lavora al caldo di maggio e dei primi di giugno. Nel silenzio dello studio ad una postazione pc, la decrittazione del bando trasdotto in elaborati, relazioni, calcoli, foto aeree con droni, rilievi di campo.

E poi gli aggiustamenti di mira, i ripensamenti, le correzioni, qualcuno che si occupa di adattare le formulazioni di principio ai numeri, perché siano il più possibile ricompresi negli standard e nei limiti di un bando che fino all’ultimo sembra il nemico numero uno da sconfiggere. Un lavoro duro, ma appassionante e coinvolgente. Un progetto da candidare che diventa poi definitivo.

Chiuso con un congruo anticipo rispetto alla scadenza naturale. Poi la soddisfazione della notizia dell’approvazione! La fase successiva è stata la conversione in progetto esecutivo. Operazione non sempre facile, ma affidata a mani e cervelli sicuri, collaudati, di esperienza. Step chiuso a fine 2022. Poi finalmente a fine gennaio di quest’anno l’inizio dei lavori.

Prima il taglio di circa 100 alberi morti, poi una rete idrica che innerva quasi tutta la pineta per dare acqua agli alberi nei primi due anni, per soccorso in caso di perdurante siccità. Devo confessare la mia emozione quando sono arrivati i primi alberi, lecci soprattutto, e poi pini d’Aleppo, carrubi, ornielli, roverelle, carpini neri. Qualche discussione c’era stata sull’opportunità di piantare ancora pini, spenta sul nascere con argomenti scientifici ma anche di natura paesaggistica.

Se pineta deve ancora essere, i pini devono esserci. Ma non i pini da pinoli, bensì quelli d’Aleppo che sono immuni dall’infestazione della Toumeyella parvicomis. Un lavoro attento per riportare al suolo le posizioni di piantamento di bellissimi pignuzzielli, come il volgo identifica i gli Aleppini.

Una maglia larga che copre però gran parte della vecchia pineta, e si unisce a quelli nati spontaneamente dalla disseminazione che si propaga dai vecchi esemplari già diffusamente presenti nel vecchio impianto. Gli aleppini sono resilienti, vale la pena dirlo e ricordarlo convintamente! In pochi giorni si incomincia a intravedere il cambiamento: le radure orfane dei pini morti, si ripopolano di centinaia di alberi, ovunque, progressivamente.

Ti viene di emettere dei sospiri di soddisfazione e di aprirti al sorriso. Il tutto merita la consacrazione pubblica: con la presenza della cittadinanza e dei bambini delle elementari per festeggiare l’evento. Bambini che cresceranno con alberi anch’essi bambini. Un segnale di speranza, di vera biofilia, un momento per comunicare messaggi importanti ai cittadini di domani: venite nella pineta di Fiaiano, fatene la vostra seconda casa, come lo era per me da bambino e da adolescente e poi anche da giovane adulto.

Rispettatela, amatela. Non ripudiate la tecnologia degli smartphone, ma non fatene il fattore dominante della vostra vita. Quelli, i telefonini, non hanno un’anima, non hanno una vera vita, non crescono e non si riproducono, possono solo invecchiare già dal primo giorno che giungono nelle vostre mani.

Le piante, gli alberi, no! Nascono, crescono, donano bellezza, vita vera, aria buona, consolazione per corpo e spirito. Venerdì 17 febbraio 2023 in una cornice festante di bambini, il sindaco ha simbolicamente piantato il primo albero che segna il rinascimento della pineta di Fiaiano. Consapevole che c’è ancora tanto da fare, soprattutto coltivarlo questo nuovo bosco, mantenerlo in forma, allevarlo per farlo crescere forte e sano in accompagnamento ai bambini anche loro da crescere forti, sani, gioiosi.

Primi passi della forestazione

Fiaiano, borgo medio-collinare del comune di Barano, sull’isola d’Ischia, gode di aria finissima e di una esposizione meravigliosa a levante che le permette di affacciarsi in maniera sorprendente sul golfo di Napoli, fino ad abbracciare la penisola sorrentina e Capri.

Ma anche Procida e Vivara e, in primissimo piano, la parte valliva del vicino comune di Ischia dal Porto al Castello aragonese. Un clima decisamente dolce e una giacitura felice, hanno da sempre attirato l’attenzione di italiani e stranieri che l’hanno eletta a loro residenza ideale. I terrazzamenti sostenuti dagli antichi muri a secco (ad Ischia parracine), sono la parte dominante del suo paesaggio, ma a fare loro da cornice boschi di macchia mediterranea e castagneti.

La parte più bassa di Fiaiano, a confine con il comune di Ischia, è in pratica la traccia del percorso della lava del vulcano dell’Arso (1301-1302) che giunse fino al mare trasportando in grande quantità blocchi trachitici che potremmo dire galleggiassero sul fiume di lava incandescente e viscosa sottostante.

E poi scorie di pomici e lapilli a conformare il paesaggio circostante in montagnole e vailette disseminate da pinnacoli trachitici dalle forme più bizzarre, sassi, pietre sciolte, in un caos addolcito poi dalla progressiva colonizzazione di erbe ed arbusti, e rari alberi. La debole pastorizia ischitana, nei secoli successivi, si suppone abbia tratto da quell’area per niente adatta all’agricoltura, una magra fonte pascolativa per capre, raccolta di fronde arbustive (ginestre soprattutto) ma anche graminacee annuali e perenni, leguminose, ecc, per l’allevamento domestico di conigli.

Tutto durato fino alla fine degli anni quaranta del novecento, quando si diede corso ad un imboschimento con una seminagione di pini domestici e pini d’Aleppo. Ma soprattutto i primi a prevalere quantitativamente sui secondi. Un impianto molto fitto, che nonostante qualche timido accenno di diradamento fatto tra il quinto ed il decimo anno di vita della pinetina, venne poi completamente disatteso negli anni successivi.

Pinuspinea, il pino domestico o da pinoli, in quell’epoca godeva di un grande appeal dappertutto in Italia, laddove le condizioni ambientali lo permettevano. Grande considerazione che si è perpetuata fin quasi agli anni ottanta, spostatasi però progressivamente dai boschi ai contesti urbani (parchi, giardini pubblici e privati, parcheggi, alberature stradali, ville, alberghi, ecc.).

La pineta di Fiaiano è divenuta poi man mano un elemento caratterizzante del paesaggio, tanto da assurgere quasi a simbolo di Fiaiano, la pineta per antonomasia dei baranesi e non solo. Sempre più presente nella vita dei cittadini, nella scansione del tempo libero, delle gite domenicali, delle scampagnate pasquali, e poi più recentemente assurta a livello di parco pubblico con l’insediamento di un Adventure Park e relativi apprestamenti ludico-sportivi sugli alberi di pino, e tantissimi giochi per bambini.

Poi il progressivo decadimento per l’attacco massivo e devastante della cocciniglia tartaruga (Toumeyella parvicornis) venuta da lontano (Caraibi) per vie nemmeno tanto misteriose, il fìtomizo ha presto messo in ginocchio gran parte dei pini dell’isola, con un accanimento particolare per le pinete, tra cui appunto quella di Fiaiano. Al decisore iniziale di quella pineta si deve accordare l’attenuante della buonafede per l’errore di optare per un impianto monospecifico, ovvero in purezza quasi totale.

In quell’epoca non si poteva nemmeno lontanamente immaginare l’arrivo di un parassita così pericoloso per i pini domestici. E nemmeno il principio oggi attualissimo della resilienza delle fitocenosi con significativa biodiversità, era conosciuto, e nemmeno il termine stesso era stato ancora coniato. Sta di fatto che nell’arco di poco più di un decennio la pineta di Fiaiano ha perso più del 90% dei suoi pini domestici.

Nel 2021 il degrado della pineta arriva alla sua acme. Il comune di Barano pensa seriamente ad un intervento di riqualificazione. L’occasione propizia è offerta da un bando di Città Metropolitana di Napoli che accorda finanziamenti alle amministrazioni comunali per la Riforestazione di aree urbane. Si va decisamente in quella direzione, si allestisce la candidatura a finanziamento per Barano che converge in progetto preliminare-definitivo.

Progetto approvato anche dal MITE (Ministero della Transizione Ecologica). Le scelte progettuali sono coerenti con le finalità generali e particolari del bando. E cavalcano in pieno l’indicazione primaria di andare decisi sulla biodiversità sposata alla scelta delle specie arboree e arbustive tipiche del luogo, per loro natura adattate perfettamente alle condizioni ecologiche dell’isola.

Si tratta di copiare la natura, di leggere in quella le cose giuste da fare, per quanto possibile di aiutare la stessa natura ad esprimersi al meglio, senza prevaricare su di lei. Rispettare e conservare le pre-esistenze – arbusti e alberi nati e cresciuti spontaneamente sull’area – e metterne a dimora altri nelle radure lasciate nude a seguito del taglio dei pini morti. La necessità di resilienza non è mortificata dalla scelta di mettere dimora comunque dei pini, perché la specie prescelta è il pino d’Aleppo, notoriamente resistente alla Toumeyella.

Si piantano anche per conservare l’appellativo di pineta per il bosco di Fiaiano, che tanto fascino ancora conserva nell’immaginario collettivo degli ischitani. Il nuovo popolamento, realizzato in circa due mesi di lavoro da parte della ditta affidataria dell’intervento, si rivela un ottimo esempio di efficienza operativa. L’uso oculato e ponderato di maestranze qualificate e macchine agevolatrici, ha consentito una velocizzazione notevole delle varie fasi a vantaggio soprattutto dell’attecchimento dei tantissimi alberi di leccio, roverelle, ornielli, carpini neri, carrubi, pini d’Aleppo, di mirti, ginestre, lentischi, filliree, cisti, ed altri arbusti ancora.

L’apporto di buon terreno agrario ha consentito di migliorare le condizioni pedologiche ed edafiche del suolo dell’area, eccessivamente sassoso, per garantire nelle fasi iniziali post-trapianto un più pronto ancoraggio radicale delle nuove piante. Fiaiano si appresta dunque ad ammantarsi nuovamente di un bel tappeto di verde arboreo e arbustivo, con grande gioia per tutti, ma soprattutto per le future generazioni.

Per chiudere: bosco o parco urbano? Entrambi in una sorta di ibrido che dà il giusto valore alle due qualificazioni, senza che ognuna di esse possa dirsi esclusiva o prevalente. Rimane bosco per qualità e omogeneità dell’impianto. Consolida la funzione di parco urbano in quanto aperto alla pubblica fruizione, ma in maniera equilibrata e controllata da parte dell’Amministrazione comunale di Barano.

Francesco Mattera


Articolo apparso sulla rivista Garden Club, Anno 30, Numero 58.
Testi e immagini per gentile concessione dell’editore UGAI